Setsuka gaiden

Aikido

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Aikido

L'aikidō 合気道 (scritto in kanji) o anche 合氣道 (usando un kanji più antico) è una disciplina psicofisica giapponese praticata sia a mani nude sia con le armi bianche tradizionali del Budo giapponese di cui principalmente: "ken" (spada), "jo" (bastone) e "tanto" (il pugnale).

I praticanti sono chiamati aikidōka (合気道家, aikidōka?).

La disciplina dell'aikido fu sviluppata da Morihei Ueshiba (植芝盛平, Morihei Ueshiba?) anche chiamato dagli aikidōka Ōsensei (翁先生, Ōsensei? "Grande maestro") a cominciare dagli anni trenta del '900.

Significato del termine 合氣道 (aikido)

Il nome aikido è formato da tre caratteri sino-giapponesi: 合 (ai), 氣 (ki), 道 (do) la cui traslitterazione è la seguente:

合 (ai) significa "armonia" e nel contempo anche "congiungimento" e "unione";

氣 (ki) è rappresentato dall'ideogramma giapponese 氣 che, nei caratteri della scrittura kanji, raffigura il "vapore che sale dal riso in cottura". Significa "spirito" non nel significato che il termine ha nella religione, ma nel significato del vocabolo latino "spiritus", cioè "soffio vitale", "energia vitale". Il riso, nella tradizione giapponese, rappresenta il fondamento della nutrizione e quindi l'elemento del sostentamento in vita ed il vapore rappresenta l'energia sotto forma eterea e quindi quella particolare energia cosmica che spira ed aleggia in natura e che per l'Uomo è vitale. Il 氣 "ki" è dunque anche l'energia cosmica che sostiene ogni cosa. L'essere umano è vivo finché è percorso dal "ki" e lo veicola scambiandolo con la natura circostante: privato del "ki" l'essere umano cessa di vivere e fisicamente si dissolve;

道 (dō) significa letteralmente "ciò che conduce" nel senso di "disciplina" vista come "percorso", "via", "cammino", in senso non solo fisico ma anche spirituale.

合氣道 (ai-ki-do) significa quindi innanzi tutto: «Disciplina che conduce all'unione ed all'armonia con l'energia vitale e lo spirito dell'Universo».

Ueshiba Morihei, il fondatore dell'aikido, usava dire che l'aikido anela sinceramente a comprendere la natura, ad esprimere la gratitudine per i suoi doni meravigliosi, ad immedesimare l'individuo con la natura. Quest'aspirazione a comprendere e ad applicare praticamente le leggi della natura, espressa nelle parole "ai" e "ki", forma l'essenza ed il concetto fondamentale dell'arte dell'aikido.

Storia: origini ed evoluzione dell'aikido

La storia e l'evoluzione dell'aikido non può prescindere, almeno nella sua fase iniziale, dalla vita del suo fondatore Morihei Ueshiba (Ōsensei 翁先生, Tanabe 1883 - Tokyo 1969).

L'aikido ha infatti conosciuto due distinte fasi evolutive che possono essere identificate in modo abbastanza agevole: la prima intimamente collegata al percorso evolutivo dello studio del Budo giapponese da parte del fondatore ed una seconda a partire dagli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale, periodo in cui l'aikido iniziò la sua rapida affermazione nel mondo intero, in modo particolarmente veloce e ramificato a decorrere dagli anni successivi alla morte del suo fondatore.

Prima fase: evoluzione dello studio del Budō da parte del fondatore

Le basi tecniche ed i principi della pratica delle arti marziali seguita dal fondatore, differirono grandemente a seconda delle epoche di evoluzione del percorso del suo studio delle arti marziali e della realizzazione della propria personale concezione del Budō (武道).

Era Taishō 大正 (1912-1926)

Il fondatore in questo periodo si dedicò a numerose forme di Bujutsu (武術) ed in particolare approfondì la pratica del "Daitō-Ryū Aikijūjutsu" (大東流合気柔術) sotto la guida di Sokaku Takeda (武田惣角), 35º successore della Scuola Daito.

In quest'epoca il fondatore impostò la pratica sui kata.

Fra le scuole di Jujitsu (柔術), oltre a quelle che si basavano principalmente sul combattimento corpo a corpo e sul combattimento a terra, ne esistevano anche alcune che avevano tramutato i movimenti e le tecniche di spada in tecniche di tai-jutsu. La scuola Daitôryû di Aizu insegnata dal Maestro Takeda ed in cui il fondatore dell'aikido si distinse tra i migliori allievi, fu una delle più rappresentative.

Nel 1919 avviene il primo incontro con Onisaburo Deguchi, capo carismatico della setta religiosa Ōmoto-kyō da cui verrà fortemente influenzata l'ispirazione della sua evoluzione spirituale.

Nel 1922 completa i suoi studi del Daitôryû Aikijujitsu e riceve da Sokaku Takeda il diploma "Kyoju Dairi", grado di istruttore che lo certifica quale rappresentante della Scuola Daito.
Nel 1925 Ueshiba ebbe la sua prima occasione di "risveglio spirituale" quando, sfidato da un alto ufficiale della marina scettico sulle sue effettive abilità nella difesa senz'armi contro un avversario armato, invitato da questi a fornire una dimostrazione delle sue reali capacità, dopo aver avuto pieno successo nel disarmare a mani nude l'ufficiale armato di bokken vanificando il suo attacco al primo colpo, provò un improvviso mutamento interiore che lo rese capace di interpretare in una luce nuova il suo rapporto non solo con il Budō ma anche nei confronti di ogni aspetto della realtà esteriore.

Il fondatore ebbe anche altre occasioni di esperienze similari che, unitamente all'idea religiosa trasmessagli da Deguchi che sosteneva che l’Arte è la madre della religione e l’Arte permette la nascita della religione, lo spinsero ad un collegamento sempre più stretto fra "Arte" e "religiosità" favorendo in lui il raggiungimento di una visione religiosa delle Arti marziali e del Budō.

Questa sua peculiare ispirazione nel campo delle Arti marziali, fece maturare in Ueshiba il convincimento che, a partire dall'Arte e dalla sua capacità di elevare la spiritualità dell'Uomo, si possa arrivare a risolvere il problema esistenziale e religioso dell'Uomo stesso e quindi che ciò era possibile di riflesso anche in relazione alle "Arti" militari.

Questo convincimento condusse Ueshiba sempre più ad interiorizzare la propria pratica delle Arti marziali e, passando attraverso diverse crisi mistiche, alla fine concepì la visione del Budō come armonizzazione del Sé individuale con il Sé dell'Universo e da questa concezione la sua pratica delle Arti marziali si modificò fino ad assumere quei connotati di forme che il fondatore definì "Ai-Ki-Do", cioè la sublimazione delle Arti marziali nell’essenza stessa dell’aspirazione spirituale, etica e sociale del Budō giapponese.

Dal primo al sesto anno dell'epoca Shôwa 昭和 (1926-1931)

In questi anni il fondatore si allontanò dalla religione per dedicarsi completamente al Budō fino a diventare uno specialista nei principali stili di arti marziali giapponesi. Dal Daitôryû Aikijujitsu (大東流合気柔術) si entra nell'epoca dello Ueshiba-ryû "Aiki-jutsu" (合気柔術), successivamente modificato in "Aiki-bujutsu" (合気武術) e in seguito "Aiki-budô" (合気武道).

Il fondatore aggiunse al Daitōryu le sue conoscenze specifiche relative alle tecniche di lancia (Sōjutsu) e di spada (Kenjutsu), di cui era un rinomato esperto, creando così il metodo uchikomi, una sorta di "kata che vive", che viene considerato tipico dell'aikidô.

Nel 1927 il fondatore si trasferisce con la famiglia a Tokyo, nel distretto di Shiba Shirogane (芝白金), ed in una sala provvisoriamente concessagli dal principe Shimazu inizia l’insegnamento della "Via dell’Aiki" che in quegli anni denominò: Aiki-Budō (合気-武道).

Nell'ottobre 1930 Ueshiba Morihei aveva temporaneamente spostato il suo Dojo nella località di Mejirodai e qui andò a fargli visita Jigorō Kanō, il fondatore del Judo, il quale vedendo Ueshiba praticare il suo Aiki-Budō esclamò: "...ecco il mio Budo ideale..." ed immediatamente inviò due dei suoi migliori allievi, Jiro Takeda e Minoru Mochizuki, a studiare presso Ueshiba.

Nel 1931, dopo essere passato attraverso alcune altre sistemazioni di fortuna, inizia l’attività del Dojo Kobukan a Wakamatsu-cho, Shinjuku, Tokyo, che diventerà poi il centro mondiale dell'aikido (Hombu Dojo Aikikai).

fonte: Wikipedia
 
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Aikido
La finalità dell'aikido

La finalità dell'aikido non è rivolta al combattimento né alla difesa personale, pur utilizzando per la sua pratica uno strumento tecnico che deriva dal Budo, l’arte militare dei samurai giapponesi; l’aikido mira infatti alla “corretta vittoria” (dal fondatore chiamata: 正勝 masakatsu) che consiste nella conquista della “padronanza di se stessi” (dal fondatore chiamata: 吾勝 agatsu, cioè la “vittoria su di se stessi”), resa possibile soltanto da una profonda conoscenza della propria natura interiore. Con questo, il fondatore dell’aikido voleva affermare che per cambiare il mondo occorre prima cambiare se stessi e ciò significa che se si vuole veramente acquisire quella capacità che il fondatore dell'aikido definiva 勝早日 katsuhayabi, cioè di padroneggiare l’attacco proveniente da un potenziale avversario esattamente nell'istante e nella circostanza della sua insorgenza (nel Buddhismo Zen si direbbe: qui e ora), occorre aver preventivamente acquisito la capacità di padroneggiare pienamente se stessi.

L'aikido, pur discendendo quindi direttamente dal Budo giapponese e pur conservando e utilizzando nella sua pratica tutto il bagaglio tecnico di un'arte marziale, non è tuttavia finalizzato al combattimento e quindi a un risultato di tipo militare o di difesa personale, come potrebbe apparentemente sembrare osservando la sua pratica dall'esterno sul piano tecnico, ma è finalizzato al risultato della scoperta e dello studio delle leggi di natura che regolano le dinamiche e le relazioni che entrano in gioco nel rapporto fra gli individui nell'occasione dell'instaurarsi di un conflitto e/o un combattimento fra di loro; a tal fine, pur utilizzando il patrimonio tecnico appartenuto alle arti marziali giapponesi, in particolare al daitoryu-jujutsu, e pur simulando circostanze di conflitto e di combattimento, l’aikido non condivide la finalità dell’uccisione dell’avversario e neppure dell'offesa dell'avversario allo scopo di realizzare una difesa personale. L'aspetto dell'arte marziale e/o della difesa personale si riconducono all’aikido solamente in modo indiretto, quale elemento secondario della pratica, non quello principale.

La difesa personale e l'arte marziale nell'aikido

L'aikido non è una disciplina finalizzata al combattimento e fondata sulla ricerca dell'attacco risolutivo e del colpo offensivo definitivo, ma si fonda invece sulla ricerca del migliore comportamento difensivo atto ad evitare la contrapposizione e favorire il disimpegno dal combattimento, con la finalità di rimanere incolumi da danni ed offese: occorre quindi tener ben conto di questa sua peculiare caratteristica quando si voglia parlare dell'aikido nei termini di arte marziale e/o strumento di difesa personale. Quando le tecniche di aikido venissero usate per attaccare per primi portando un’offesa anziché usare queste tecniche per la difesa, esse verrebbero di fatto private del fulcro portante su cui si basa e si fonda la loro efficacia.

La difesa perseguita nell'Aikido diventa perfetta quando realizza quel comportamento che ottiene la perfetta immunità dell’aikidoista da danni ed offese: pertanto questo obiettivo viene sicuramente raggiunto innanzi tutto quando l'aikidoista riesce a non farsi coinvolgere in un combattimento oppure, in subordine a ciò, quando riesce a vanificare l'attacco dell'avversario ed a farlo desistere dai suoi propositi aggressivi ed offensivi.

L'efficacia delle tecniche di aikido

Nell’aikido si opera una distinzione preliminare per definire cosa s'intenda specificamente per “efficacia”. Se si intende l'efficacia sotto il profilo prioritario ed esclusivo della difesa in quanto tale, allora l'Aikidō può considerarsi idoneo ed efficace nel raggiungere lo scopo della difesa personale, mentre se si intende invece l'efficacia seguendo il principio assai diffuso secondo cui il concetto di difesa è visto sotto il profilo prioritario di riuscire ad arrecare all'avversario un’offesa risolutiva del conflitto prima che l'avversario sia riuscito a portare il proprio attacco risolutivo, allora la risposta non è più certa, poiché non è questa la finalità dell'aikido dichiarata dal suo fondatore, Morihei Ueshiba.

Infatti secondo i principi dell'aikido la difesa che consente la risoluzione del conflitto non si ottiene nel momento in cui si è causato all'avversario un'offesa od un danno risolutivo, poiché in questo caso si devono porre in essere strategie e tattiche volte all'offesa e non alla difesa e non si deve più quindi parlare di tecniche di difesa personale ma di offesa personale, raggiunta attaccando possibilmente l'avversario prima che sia lui ad attaccare.

In quest’ultimo caso, poiché le tecniche di difesa personale impiegate nell'aikido sono invece, secondo i principi di questa disciplina, estremamente specifiche nel prevedere il compito della difesa al punto che nella pratica dello studio dell'aikido sono prefissati i ruoli di attacco e di difesa, difficilmente esse manterrebbero la loro piena efficacia nel momento in cui fossero stravolte nella loro naturale e nativa impostazione, cioè nel fine e nello scopo specifico per cui esse sono concepite, il quale non è quello di arrecare un’offesa attaccando per primi, ma quello della realizzazione di un'efficace risposta di difesa basata sul contrattacco. Perciò quando si affronta la questione dell'efficacia delle tecniche di aikido è bene tener sempre presente che l'arte strategica e la specialità tecnica distintiva di questa disciplina è quella di perseguire un'azione tattica mirata ad evitare la contrapposizione fin dal suo possibile insorgere, attraverso uno specifico comportamento di disimpegno difensivo, non finalizzato all'attacco né tanto meno all'offesa.

La priorità strategica dell'aikidoka nella scelta della sua azione tattica difensiva è quindi quella di arrivare alla risoluzione del conflitto senza subire offesa, impiegando le tecniche dell'aikido non nella ricerca di riuscire ad infliggere dei danni risolutivi all'avversario, ma essenzialmente al fine di disimpegnarsi da lui e dal combattimento stesso.

Nel contesto aikidoistico non si prende ovviamente in considerazione l'uso a distanza delle armi da fuoco, ma esclusivamente le possibilità di offesa e di difesa offerte dal corpo umano a mani nude e consentite dal corpo a corpo, anche eventualmente con l'impiego delle tradizionali armi bianche; i criteri di difesa su cui si fonda l'Aikido mantengono però tutta la loro valenza strategica, etica e morale, anche nel caso di conflitti che vedano la contrapposizione di armi differenti, cambiando naturalmente la parte tattica in modo opportuno ed adeguato secondo l’esigenza d’uso e di impiego richiesto dai sistemi d’arma utilizzati.

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La pratica dell'aikido

Nella tradizione giapponese della trasmissione della conoscenza dell’Aikidō, il Maestro spiega l’Aikidō attraverso le parole, fornendo la visualizzazione razionale della tecnica rivolgendosi alla mente ed alla comprensione intellettuale dell’allievo che quindi apprende la spiegazione della tecnica con la mente ed il Maestro insegna invece l’Aikidō attraverso il corpo con l’esempio della propria pratica sul tatami, fornendo la visualizzazione dell’esecuzione concreta e fisica della tecnica, trasferendo 以心伝心 “I shin den shin” all’allievo la corretta dinamica fisica della tecnica attraverso la comunicazione del corretto impulso interiore e della corretta postura della mente e dell’animo, che costituiscono il presupposto ed il fondamento dell’efficacia dei movimenti.

Il corpo è lo strumento cognitivo e di apprendimento dell’aikido

Solamente il trasferimento diretto della capacità fisica e concreta di esecuzione della tecnica al di là della sua razionalizzazione e comprensione intellettuale, ha la capacità di generare nell’allievo il corretto apprendimento della tecnica attraverso la ricerca dell’imitazione del Maestro, sia nel movimento del corpo sia nell’azione del kokyū impresso dal Maestro allo svolgimento dell’azione dinamica della propria tecnica.

L’ideogramma 心 shin significa cuore, mente, spirito.

以心 I shin significa di cuore o dal cuore, dalla mente, dallo spirito.

伝心 den shin significa dire al cuore, dire alla mente, dire allo spirito.

L'espressione 以心伝心 I shin den shin significa dunque trasmissione per partecipazione diretta del proprio animo, per coinvolgimento diretto nel medesimo sentire, al di là delle parole, fra Maestro ed allievo.

Ciò significa che non si può trasmettere la conoscenza dell’Aikidō solamente con le parole ed i concetti, cioè con delle spiegazioni razionali di tipo cattedratico così come l’insegnamento è normalmente inteso da noi in occidente. Nella tradizione delle discipline orientali e del’Aikidō in particolare, la trasmissione della conoscenza appartiene invece alla sfera più sottile e più profonda del sentire, cioè del proprio intimo modo di essere non solo sul tatami ma nella stessa vita quotidiana e del modo di porsi in relazione alla pratica.

Il Maestro deve dunque avere la capacità non solo di spiegare razionalmente ai suoi allievi le tecniche di Aikidō, ma deve soprattutto essere in grado di insegnarle attraverso la dimostrazione della dinamica del proprio corpo, nell’azione fisica e concreta di fornire l’esempio di come la tecnica deve essere eseguita.

Per questo motivo tradizionalmente la lezione di aikido inizia con esercizi di respirazione e concentrazione con cui il Maestro genera attorno a sé quella particolare atmosfera di empatia fra gli allievi e la sua persona che funge da stimolo all’emulazione e che induce l’allievo ad apprendere a sua volta il movimento con il proprio corpo per emulazione del Maestro, memorizzandola non con la mente e la memoria del pensiero ma nel corpo stesso, sedimentandola nella propria sfera istintuale attraverso l’azione eseguita dal proprio corpo nella ripetizione sistematica degli stessi movimenti, finché questi non diventino un’azione del tutto spontanea alla cui esecuzione non necessiti più il supporto del ricordo mentale e del pensiero.

La didattica dell’Aikidō è dunque un'attività assai delicata, che necessita di essere adeguatamente sostenuta in entrambe le sue due componenti essenziali: la spiegazione verbale, razionale e concettuale delle tecniche, consistente nella comunicazione della parte esprimibile dell’Aikidō e l’insegnamento della parte inesprimibile, consistente nella comunicazione dell’apprendimento di una realtà che può avvenire esclusivamente attraverso la trasmissione 以心伝心 I shin den shin.

L'Aikidō s’insegna quindi con l'esempio, s’impara per imitazione ed emulazione del Maestro, si memorizza fisicamente nel corpo e nella sfera istintuale.

Insegnamento significa trasmissione 以心伝心 I Shin den Shin, cioè trasmissione senza le parole ed al di là delle parole.

fonte: Wikipedia
 
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